Alcuni decenni orsono il cosiddetto Triangolo d’orocostituiva la maggiore area di coltivazione dell’oppio. Un territorio montagnoso di circa 100.000 chilometri quadrati, caratterizzato da valli profonde e vegetazione molto densa, a cavallo tra la Birmania, il Laos e la Thailandia. In questa zona il papavero arrivò intorno alla fine del diciannovesimo secolo, portato da alcune tribù provenienti dalla Cina e da allora è stato sempre coltivato da gruppi etnici minoritari come i Hmong, Yao, Akha, Kachin e Wa, organizzati su base tribale, che non conoscono né organizzazione statale né cultura scritta. Queste popolazioni seminomadi, abituate a muoversi fra le alte montagne coperte di foresta tropicale, sono fin dalle origini dedite a un’agricoltura di sussistenza, in parte stabile per produrre riso, e in parte itinerante, attraverso la quale, tagliando e incendiando la foresta le tribù ricavavano i campi in cui coltivare l’oppio, ma solo per 1-2 anni. A metà degli anni ‘70 del secolo scorso, dopo la fine della guerra del Vietnam, la scoperta di alcuni laboratori di eroina nascosti nei campi di oppio, evidenziò come nella produzione mondiale di stupefacenti, questi territori fosse drammaticamente diventati più importanti dell’Iran e della Turchia. Da allora il nome Triangolo d’oro, è rimasto come sinonimo di traffici illegali, dominio di potenti signori della guerra e della droga.
Ai nostri tempi in Thailandia, però, rimane ben poco delle coltivazioni di oppio di un tempo, e la gran parte delle piantagioni nel nord del paese sono state riconvertite in coltivazioni di the, di ortaggi, alberi da frutto e piante tropicali. Il Doi Inthanon National Park, che prende il nome dalla cima più alta di tutta la Thailandia (2.650 mt), è una vasta riserva naturale nella regione del nord, dove ancora oggi le tribù indigene di montagna vivono in totale armonia e simbiosi con la natura che le circonda. È qui che sorge la Royal Agricultural Research Station, costruita per volere e sotto la protezione del recentemente scomparso Re Bhumibol Adulyadej, al fine di sconfiggere la povertà e migliorare la vita degli abitanti delle montagne. Il Progetto Reale, lanciato negli anni ‘70, insegna e supporta la coltivazione di prodotti alternativi all’oppio per favorire un’agricoltura stanziale e permanente che renda non necessaria la continua distruzione e l’incendio delle foreste per ottenere terra da coltivare a rotazione. Il centro di ricerca si trova a Ban Luang, nel villaggio di Khum Klang, nel distretto di Chom Thong, lungo la strada che conduce alla vetta del Doi Inthanon, al Tempio Wat Sri Prathat che conserva importanti reliquie del Buddha, e le due moderne Chedi gemelle, realizzate nel 1987 e 1992, circondate da uno splendido giardino fiorito tutto l’anno, e dedicate rispettivamente al re e alla regina.
La città principale da cui si parte per raggiungere il Parco è Chiang Mai, la vera capitale del nord, ricca di storia, di antichi templi e di un un fascino speciale. Posta a oltre 700 chilometri a nord di Bangkok, fu fondata come un quadrilatero da re Mengrai nel 1296, circondata da un canale e alte mura di protezione contro le frequenti incursioni birmane. La gente locale parla un particolare dialetto thailandese, il Kham Muang, e mostra un forte rispetto per gli oltre 300 Wat esistenti, che oltre al Tempio contengono più costruzioni dai tetti a vari livelli e le pareti in legno e gesso. adibite a scopi religiosi, sociali e culturali. Alla volta di Doi Intanon, ci si allontana dalla città imboccando una strada ben asfaltata che si addentra nella provincia di Chiang Mai, un territorio che si estende per ben 20,000 chilometri quadrati e vanta alcuni dei più pittoreschi paesaggi di tutta la Thailandia. La valle del fiume Ping, un affluente del Chao Praya che attraversa Bangkok, è un mosaico di risaie, colline ondulate e foreste, fiumi e ruscelli che scendono dalle montagne coperte di boschi. Un territorio straordinario, che si chiama Mae Wang, ineguagliabile per chi voglia compiere parte dei novanta chilometri con un trekking a dorso d’elefante, fermandosi nei tradizionali villaggi tribali delle colline. Gli enormi pachidermi, nonostante la mole, hanno una camminata fluida e ondeggiante, quasi elegante quando si inoltrano all’interno della vegetazione, tra gli alberi e attraverso i guadi dei torrenti. Tutt’intorno c’è la natura nella sua magnifica bellezza: felci, banani, piante di caffè, oltre 300 speci animali, farfalle, insetti e volatili perfettamente mimetizzati con l’ambiente circostante. La strada statale che conduce al parco è di ottima qualità e la macchina impiega poco più di un’ora per arrivare all’entrata dell’area di circa 490 chilometri quadrati, dichiarata Parco Nazionale nel 1972. Precedentemente era nota come Doi Luang, ma il nome fu cambiato in onore dell’ultimo sovrano di Chiang Mai, Re Inthanon, grande amante della natura e protettore di queste foreste, morto alla fine del XIX secolo, le cui ceneri riposano nel piccolo tempio che si trova sulla sommità della montagna, vicino all’insegna che indica “The Highest Spot in Thailand”.
Attrazioni principali del Parco sono le cascate di Mae Tien, di Wachiratharn e Siritharn oltre ad alcuni villaggi Karen e Hmong dove vivono meno di cinquemila persone. Facili sentieri e ponti naturali si arrampicano sui colli e nelle vallate e, a seconda della stagione, le condizioni climatiche cambiano da una temperatura mite al caldo afoso, mentre è costante una lieve pioggerellina, che può essere fresca e piacevole. Verdi piantagioni di riso e tratti di foresta creano uno scenario indimenticabile i cui unici esseri viventi sono i bufali d’acqua che pascolano e si rotolano nelle numerose pozze d’acqua. Nei piccoli villaggi le case appaiono rialzate, simili a palafitte, dagli arredi essenziali e le stuoie a ricoprire i pavimenti su cui dorme la famiglia. La vita è tranquilla, gli uomini si occupano della campagna, le donne anche della casa. Non mancano però sui tetti le antenne paraboliche.
Nel cuore del Doi Inthanon National Park, il Royal Project Research Station è gestito da agronomi professionisti, con efficienti laboratori e serre le cui lampade sono accese giorno e notte, per la coltivazione di piante da frutto, caffè, verdura e splendidi fiori tropicali. I visitatori possono visitare gli impianti e apprezzare come vengano adottate le più moderne tecnologie agricole e per la protezione dell’ambiente. Ogni giorno decine di camion caricano i prodotti freschi per condurli nei mercati della zona, in modo da garantire le risorse per il progetto e per le centinaia di persone che ci lavorano. I naturalisti e gli appassionati di bird-watching che vogliono fermarsi oltre alle poche ore a disposizione se si decide di visitare il parco con una delle escursioni quotidiane acquistabili a Chiang Mai, hanno una discreta scelta fra alberghi di buona qualità, residence di montagna o la spartana ospitalità presso una famiglia del villaggio.
Nel nostro viaggio abbiamo optato per dormire nella struttura alberghiera che si trova nella Stazione del Royal Project, un complesso di circa 20 tipiche casette in legno e muratura, in grado di assicurare un ottimo livello di comodità, dall’acqua calda corrente all’aria condizionata, e perfino la connessione gratuita wi-fi. Inoltre, si può mangiare nel panoramico ristorante che domina la valle, dove si servono solo i prodotti naturali coltivati e allevati nella stazione agricola, oltre a una straordinaria trota di montagna cucinata con le spezie raccolte quotidianamente nel giardino adiacente. Il tutto in una Thailandia che appare molto distante da quella delle isole e delle spiagge bianchissime del sud. Per concludere, due punti da non dimenticare: è quasi difficile prenotare uno dei bungalow per telefono perché, a eccezione di alcune guide contattabili in loco, il personale pur molto cortese non capisce l’inglese. Quindi bisogna armarsi di tanta pazienza.