L’aereo si alza in volo. Ho salutato i miei figli da poco con le lacrime agli occhi. È la prima volta dopo venticinque anni che affronto un viaggio completamente sola, senza aver programmato niente, senza aver prenotato un albergo, senza sapere una parola di spagnolo, con una attrezzatura e una preparazione atletica sufficienti per affrontare tappe di 15/20 km al giorno come prevede il Cammino di Santiago.

Santiago è così, ti chiama all’improvviso e nell’estate del 2017 ha chiamato anche me, forte e chiaro. Sulle mie spalle tutto quello di cui ho bisogno, uno zaino di circa 8 chili che pesa già troppo alla partenza. Sarà la mia casa per tre settimane. Destinazione San Sebastian (Donostia per i Baschi), splendida ed elegante città nel Nord della Spagna con una passeggiata lungomare di tre chilometri. Sto iniziando il ‘mio’ Cammino di Santiago, il più bello tra gli itinerari giacobei dal punto di vista paesaggistico, ma anche il più duro per i dislivelli che spezzano le gambe e accorciano il fiato. Storicamente questo è stato il primo ad essere percorso dai pellegrini, ancor prima del Franzès, che attraversa il centro della Spagna. Era il più sicuro per i viaggiatori che provenivano dal nord Europa e consentiva loro di tenersi lontani dagli arabi e di raggiungere Santiago in sicurezza.
L’itinerario del Cammino di Santiago conta 849 km da Irun, città di partenza, fino a Compostela e attraversa nell’ordine le regioni spagnole dei Paesi Baschi, la Cantabria, le Asturie ed infine la Galizia, con le sue brume lattiginose e i massicci della cordigliera cantabrica che piegano bruscamente verso l’interno, con cime che toccano anche i 2000 metri. Entrando in Galizia si abbandona la costa, alta e frastagliata, caratterizzata dalle ‘rìas’, immense valli fluviali nate dall’incontro delle acque dolci con l’incessante azione demolitoria delle onde oceaniche. Questo è un cammino che viene scelto da chi vuole andare ‘in solitaria’, il che sia chiaro non esclude l’incontro con altri pellegrini ma è certamente un itinerario molto meno affollato del Franzès dove, al contrario, anche volendo non si riesce a star soli.

Non c’è stato giorno del Cammino di Santiago in cui, partita di buona ora al mattino, cioè col buio (siamo nel Nord e fa giorno verso le sette), non mi sia commossa nel vedere tanta bellezza al sorgere del sole, nel sentirmi parte di una armonia tra la Natura e l’Uomo che non è possibile neanche intuire nella vita che conduciamo ogni giorno. Eppure esiste, c’è, ma bisogna disporsi all’ascolto. Durante il cammino lo spirito si rigenera, si nutre di colori, suoni e profumi che si intrecciano per restituirci paesaggi e scorci mozzafiato. I 3/4 dell’itinerario si snodano lungo la costa atlantica, si cammina costantemente con l’Oceano alla nostra destra, mentre a sinistra ci accompagnano bellissimi paesaggi alpini. Questi dolci declivi a volte si spingono fin quasi a toccare le spiagge. I pascoli verdi e rigogliosi, ricamati ai confini delle proprietà con alberi da frutto di ogni genere, vengono abitati da placide mucche, cavalli dalle bionde criniere e tori mastodontici. Il cielo qui è di un azzurro accecante. Le nuvole cambiano continuamente forma, scomposte da venti incessanti e taglienti. L’aria è tersa, il respiro del ‘caminante’ si fa più lento, misurato, i polmoni si espandono, riempiendosi di ossigeno.

Non ho mai visto un blu declinato in così tante sfumature, e allo stesso tempo profondo e austero. L’Oceano non è un mare più grande, l’Oceano è un continente liquido. Le sue acque non stanno mai ferme e anche quando è calmo le correnti gorgogliano, ribollono e smuovono la superficie, come se da un momento all’altro Nettuno, dalla lunga barba bianca, stesse per emergere con il suo tridente. Lo si guarda con gli stessi occhi di un innamorato, spalancati di meraviglia e stupore e tanta bellezza non ci sazia mai. Qualche volta sono riuscita a fare il bagno anche se la temperatura è piuttosto fredda ma solo in acque basse e quando mi sono sentita sicura. Con le onde di questo gigante d’acqua non si scherza, ti rullano attorno, ti scavano via la sabbia da sotto, improvvisamente ti senti affondare e non riesci più ad uscirne. Ha una forza spaventosa che può costarti la vita. Mai sfidarlo. Va guardato e ammirato da lontano, lasciando andare lo sguardo libero verso quella linea dell’orizzonte in cui il blu si nebulizza e diventa tutt’uno con l’azzurro del cielo.
Quando sono arrivata al faro di Finisterrae mi sono avvicinata alla punta estrema della scogliera che cadeva a picco nell’Oceano. In fondo, su alcune rocce, ho visto due caprette che si erano spinte fin laggiù per brucare un po’ di erba. Non so proprio come vi fossero arrivate. Poi ho alzato lo sguardo e ho avuto una vertigine nel trovarmi davanti quella immensa distesa blu. Al largo si vedevano solo barchette di pescatori, seguite dallo strascico bianco di gabbiani chiassosi. Da queste parti si dice che quando arrivano le nuvole dalla Galizia portano maltempo. E capisci perché quando le vedi. Si stagliano all’orizzonte, plumbee, minacciose, lentamente inghiottiscono tutto. Il sole sparisce, gli uccelli cercano riparo tra le rocce, l’Oceano inizia ad incresparsi, il vento urla, la sabbia viene alzata e spazzata via, non si riesce a tenere gli occhi aperti. Poi arriva la tempesta, è l’inappellabile forza della Natura che libera un’energia terrificante quanto potente. Non c’è niente che possa fermarla.
Ho percorso solo una parte degli 800 km del Cammino di Santiago. Presto sono arrivati quei problemi che normalmente affliggono i pellegrini, il mal di schiena per il peso dello zaino, i crampi ai muscoli, le vesciche ai piedi che ogni giorno, quando si giunge sfiniti (ma felici) agli Albergues, vengono pazientemente cucite con ago e filo, per far uscire l’acqua e velocizzarne la guarigione. File di pellegrini di tutte le età compiono seduti questo rituale quotidiano, che non è doloroso ma anzi necessario per poter continuare a camminare. Ci vorrebbe qualche giorno di riposo ma a volte il desiderio di ripartire è irrefrenabile, magari strada facendo si è fatto gruppo, si arriva insieme ed è bello rimettersi in marcia insieme, per meravigliarsi ancora davanti a paesaggi sterminati, per perdersi nel silenzio dei boschi, scambiare due parole in lingue diverse dalla tua per qualche minuto e poi non rivedersi più, parlare con la gente del posto che ancora dopo secoli ha un profondo rispetto per i pellegrini e ogni volta che li incontra pronuncia il saluto ben augurante che risuona da secoli su questi sentieri ‘Buen camino!’. Qui siamo tutti uniti da una profonda spiritualità. Dopo i primi giorni di ‘rodaggio’ il corpo inizia a percepire le proprie potenzialità ma anche i propri limiti, e sono questi che vanno ascoltati, perché il cammino è esperienza interiore e accettazione della nostra finitezza. La mente si libera da tutti quei pensieri pesanti che intossicano la nostra quotidianità, finalmente si ritrova il tempo per riflettere, per mettersi in contatto con noi stessi ed affrontare tutto quello che ci fa paura, che nascondiamo, che ci fa soffrire. Si riscopre il silenzio, la Natura, si diventa essenziali nel parlare e parsimonioso nell’uso delle proprie forze fisiche.

Non è una gara col mondo, con chi va più veloce, con chi percorre più tappe del Cammino di Santiago. È l’occasione per ritrovarsi, per togliersi di dosso gli abiti delle nostre professioni, delle nostre mille occupazioni, dei titoli, dei ruoli. È il momento in cui si toglie la maschera e la si osserva con lo stesso sguardo intenerito di Pinocchio diventato bambino, che guarda ciò che era, un burattino di legno, goffo e scomposto. Per questo è dura tornare perché significa fare un compromesso. Quando si arriva a Compostela si prova una gioia indescrivibile perché siamo consapevoli che quel viaggio ci ha cambiati, ci ha riportati all’essenza. Abbiamo fatto cose che non ci saremmo mai aspettati. Chi ha dormito fuori sulla spiaggia o su qualche panchina, chi è rimasto senza mangiare, chi ha camminato chilometri con i piedi doloranti, e non c’è masochismo in tutto questo ma un inno alla Vita, alla gioia di viverla nelle sue manifestazioni più semplici. Il renderle omaggio ogni giorno rimettendosi in cammino innalza e fortifica il nostro spirito. Gli ultimi giorni, prima della partenza, ognuno si chiede come farà a ‘rientrare nei ranghi’, nella quotidianità. Si è talmente felici di aver potuto fare un’esperienza così intensa che tutto il resto ci appare grigio e sbiadito a confronto. Quando si parte poi, con lacrime ben più calde e copiose di quando siamo partiti, si comprende che si lasciano i luoghi ma non quello che abbiamo percorso. Il cammino resta dentro, impresso nella carne e nel cuore. E chiama, perché si torni su quei sentieri di fatica e di gioia, che sono poi la metafora più alta che abbia mai conosciuto dell’esistenza umana. Il viaggio è conoscenza, crescita interiore, elevazione spirituale.
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