L’idea di un club privato alimenta un immaginario consolidato che comprende anziani soci intenti a fumare il sigaro, mentre sorseggiano un distillato seduti su eleganti poltrone di cuoio. Il fenomeno, divenuto globale e diffusosi nei cinque continenti nel corso dei secoli, soprattutto nel mondo anglosassone, si è sviluppato con molteplici varianti legate agli interessi che uniscono i suoi membri: politica, letteratura, sport, arte, viaggi. Argomenti che fungono tutt’oggi da motivazione e collante di una formula associativa che ha unito e unisce generazioni di uomini, più che di donne, provenienti inizialmente dalle classi aristocratiche e poi alto borghesi.
Il primo club di cui si ha contezza nella storia fu aperto ai tempi di Enrico IV nel quindicesimo secolo: La Corte della Buona Compagnia. Uno dei suoi membri,Thomas Occleve, lo descrive come un luogo di incontro pensato per riunire persone intenzionate a mangiare e a bere, sostenendo le spese comuni per il mantenimento dello spazio e della struttura. Il tempo ha radicalmente trasformato questa concezione, introducendo una versione contemporanea che punta alla creazione di reti professionali in ambienti molto più rilassati, che non prevedono particolari regole di dress code e ammettono la presenza del genere femminile.
Uno degli esempi più recenti, che sta di fatto rivoluzionando a livello internazionale l’idea di aggregazione, networking e ospitalità si chiama Soho House, ed è un progetto che nel 2018 è arrivato a ben 24 strutture fra Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Spagna, Turchia, Canada, Olanda e India. Dalla prima apertura, nel 1995, a Londra, al numero 40 di Greek Street, Soho House sta portando avanti, il preciso obiettivo di aprire le proprie porte solo a membri provenienti dal mondo della creatività, dell’arte e della moda. L’idea viene al ristoratore Nick Jones, che decise di rilevare lo spazio che si trova sopra al proprio ristorante francese: tre piani che vengono arredati con un gusto contemporaneo e caldo, generando un’atmosfera che ora attrae centinaia di persone del mondo del cinema e della televisione. Pochi mesi dopo fu aperta la Babington House a Somerset, una versione più country, ma da subito di grande successo. Ci sono voluti otto anni per sorvolare l’Oceano Atlantico e aprire a New York, nel Meatpacking District, e poi a Los Angeles.
Secondo gli analisti, sono state queste nuove realtà a determinare il successo planetario dell’operazione, costringendo il management a dover rendere più rigide le regole d’ingresso al club, dopo aver realizzato che troppi uomini d’affari in giacca e cravatta avevano aggirato i controlli. Un boom di richieste, severamente controllate da un comitato d’accettazione, è arrivato dopo che una puntata della sesta stagione di Sex & the City è stata girata negli interni del locale newyorkese, ma questo non ha cambiato l’approccio: ogni Soho House deve favorire atmosfere intime, con una proposta che spazia da ristoranti gourmet, roof bar con piscina, sale cinema, SPA, e stanze per pernottare. Oggi scoprire l’estetica di questi spazi è un viaggio in equilibrio fra identità locale della città e trends contemporanei, grazie all’impegno profuso da una squadra interna di designer e architetti che seguono ogni dettaglio e prodotto, fino a renderli ormai disponibili su un sito dedicato.
Nell’Europa continentale due possono essere considerate le strutture iconiche, entrambe ricavate da edifici presistenti. Il caso di Berlino è senza dubbio eloquente: il palazzo di Torstrasse 1 fu disegnato ed edificato alla fine degli anni venti del secolo scorso dagli architetti Georg Bauer e Siegfried Friedlander secondo i dettami dello stile sachlich od oggettivo, per ospitare un grande magazzino di sette piani con un ristorante sul tetto. Con la salita al potere del Partito Nazionalsocialista nel gennaio 1933, l’edificio fu venduto e divenne base operativa dei quartieri generali della Gioventù Nazista, almeno fino alla conclusione della guerra, quando questa porzione di città fu affidata all’Unione Sovietica e il palazzo diventò sede del Partito Comunista Tedesco e dell’Istituto Marxista-Leninista. Con la caduta del Muro di Berlino, l’edificio è stato abbandonato per oltre un decennio, fino a quando non è entrato dal 2010 nel circuito di Soho House ed è rapidamente divenuto un punto di riferimento per i creativi locali. Per gli ospiti le sistemazioni si rivelano spaziose con arredi classici e un design nostalgico, che include vecchi giradischi e una selezione di dischi in vinile. Al settimo piano, la terrazza ospita bar e piscina, con una vista panoramica sulla città, mentre la Cowshed SPA è una perfetta soluzione per chi vuole ritagliarsi un attimo di benessere scegliendo i trattamenti proposti nel menu. Mantenendo una totale coerenza con l’identità del posto, il progetto ha introdotto i Berlin Loft, appartamenti esclusivi da affittare a medio o lungo termine, che rappresentano una nuova forma di ospitalità in cui poter promuovere anche le performance artistiche di giovani talenti dell’arte e della musica.
L’ultima apertura, infine, è stata effettuata ad Amsterdam, nel palazzo Bungehuis a Spuistraat, nel centro città, in un complesso funzionalista del 1932, affacciato su un canale, noto per la sua imponente facciata in granito. La ristrutturazione ha permesso di ospitare 79 camere, un ristorante italiano e una SPA del medesimo brand, oltre alla piscina all’ultimo piano. Al momento non ci sono ancora sedi italiane previste, ma si sta valutando l’ipotesi di Milano, e non è da escludere che nella capitale italiana della moda possa avere analogo successo per uno dei progetti di ospitalità più cool degli ultimi due decenni.